mercoledì 10 aprile 2013

I microbi del Golfo del Messico ripuliscono l'oceano più rapidamente di quanto ipotizzato

La marea nera catturata da MODIS ubicato a bordo del satellite Aqua della NASA

I microbi all'interno del cerchio rosso si nutrono degli idrocarburi presenti nell'acqua. Immagine di: © Science/AAAS
Secondo un esperto di biorisanamento, che ha presentato una relazione l'8 aprile al Meeting Nazionale della American Chemical Society (ACS) - la più grande società scientifica al mondo - il Golfo del Messico potrebbe avere una maggiore capacità di assorbire naturalmente le fuoriuscite di petrolio di quanto precedentemente dimostrato in uno studio dal titolo "Deep-Sea Oil Plume Enriches Indigenous Oil-Degrading Bacteria" pubblicato nel 2010 su Science.

Terry Hazen C., Ph.D., ha detto che la conclusione è emersa tramite la ricerca sviluppata in seguito al disastro della Deepwater Horizon avvenuto nel 2010, che secondo alcune stime ha versato 4,9 milioni di barili (210 milioni di litri) di petrolio nel Golfo del Messico. Il suo gruppo di ricerca ha usato un approccio nuovo ed efficace per identificare microbi fino ad ora sconosciuti, che consumano e dissolvono il petrolio greggio sversato nelle acque del Golfo. Hazen ha spiegato che "l'olio disperso in mare dalla Deepwater Horizon é diventato una nuova fonte di nutrienti per gli organismi che popolano le acque più profonde". "Con quantità maggiori di cibo in acqua, c'è stata un esplosione demografica di batteri già adattati ad usare il petrolio per alimentarsi. E' stato sorprendente osservare la velocità con cui hanno consumato l'olio. In alcune località, hanno impiegato solo un giorno per ridurre un barile di petrolio (158,99 litri) a metà. In altre aree, il  tempo di persistenza di una determinata quantità di petrolio fuoriuscito è stato di 6 giorni. Questi dati suggeriscono che esiste un grande potenziale intrinseco di biorisanamento da petrolio, presente nelle profondità marine del Golfo del Messico e nelle zone limitrofe. "
 

I batteri che popolano il Golfo e che si nutrono di olio, sono degli microrganismi naturali presenti a causa del costante rifornimento di cibo. Gli scienziati sono a conoscenza del fatto che ci sono più di 600 diverse aree in cui l'olio trasuda dalle rocce del ​​Golfo del Messico. Queste infiltrazioni di petrolio sono come delle sorgenti subacquee, e secondo il Consiglio Nazionale delle Ricerche rilasciano tra i 560,000-1.4 milioni di barili di petrolio all'anno.Il gruppo di studio di Hazen ha usato un approccio nuovo ed efficace per identificare i tipi di batteri che si cibano dell'olio, che hanno contribuito alla bonifica naturale del Golfo del Messico. In passato, gli scienziati identificarono i microbi mettendo dei campioni di acqua nei contenitori utilizzati per le colture in laboratorio, in seguito, tramite le osservazioni col microscopio, riscontrarono una crescita del numero dei microbi. Il nuovo approccio, denominato "ecogenomics," utilizza analisi genetiche del DNA, delle proteine ​​e di altre impronte di batteri in modo da fornire un quadro più dettagliato della vita microbica in acqua.Hazen ha affermato che: "La linea di fondo che emerge da questa ricerca é che, il Golfo del Messico è più resistente, e possiede capacità maggiori di recuperare le fuoriuscite di petrolio, di qualsiasi altro ecosistema marino". Ciò dimostra che non sono necessarie le misure eroiche proposte dopo l'incidente della Deepwater Horizon, come l'aggiunta di nutrienti per accelerare la crescita di batteri o l'utilizzo di batteri geneticamente modificati. Il Golfo ha una vasta base di batteri naturali, che rispondono alla presenza di olio moltiplicandosi piuttosto rapidamente. "

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